Secondo il filosofo Wilhelm Schapp, l’uomo è “un fascio di storie” nelle quali è immerso fin dalla nascita: il suo è un mondo di storie. A pensarci bene, in effetti, non facciamo, giorno e notte, che raccontare e ascoltare storie. Ma cos’è una storia? All’osso, è una sequenza interconnessa di prima, durante e dopo. Tutto qui?

Facciamo un esperimento semplice: prima di continuare a leggere, pensate a una frase, la più semplice possibile. Fatto? Ora fingiamo che abbiate pensato una frase come “Mangio una pera”. Dov’è la storia? C’è, eccome! Implicita quanto vi pare ma, senza volerlo e senza saperlo, ciascuno ne ha ipotizzata una, per dare senso alla frase. Ha dovuto sottintendere una sequenza interconnessa dove serviva un “io” che sta, ora, compiendo un’azione che prima non c’era con un oggetto che, dopo, sarà diverso. Appena volgiamo l’attenzione su questa banale evidenza, ci accorgiamo che di storie, in realtà, quella frase minima ne contiene, in attesa di essere raccontate, tante quanti siete voi che leggete. Potremmo addirittura parlare di un’infinità di storie perché ciascuno di voi, se ci si mette, chissà quante ne può costruire. Procediamo provando a dinamizzare un po’ le tre parole della frase; poi voi continuate, senza porre limiti alla fantasia.

Allora, la pera è il mio frutto di fine pasto o prima ero a digiuno, affamata con nient’altro di pronto in frigo? E, dopo, sparecchierò o mi cucinerò qualcosa? O mi trovo forse in una SPA dove, come nella vecchia pubblicità Rai, mi danno da mangiare solo “Una mela! Una pera!” mentre io sogno altri programmi per me? E quella pera, poi, la sto mangiando sbucciata o con tutta la buccia perché me l’hanno appena portata dalla campagna? Zuccherina o acerba come tutte le pere del supermercato?

Potremmo continuare a lungo, ma la cosa interessante di questo semplice esperimento è che ci costringe a riflettere sulle potenzialità narrative implicite, necessarie e fortissime, del linguaggio. Anche di quello quotidiano cui non badiamo più di tanto. Di continuo, infatti, senza farci caso e il più delle volte senza esserne consapevoli, strutturiamo le esperienze anche minime sotto forma di storie. E non abbiamo neppure accennato alle strane storie notturne, quelle dei sogni. Per restare a quelle diurne, persino con la mail di un collega costruiamo una storia. Ci raccontiamo le intenzioni che aveva prima di scrivere (voleva darmi una notizia? mettermi in mora? chiedermi informazioni?) e molto altro. Provate a pensarci.

E quante storie, nella carezza di un partner?

La questione interessante è che il modo in cui ci raccontiamo una storia e persino quello in cui ascoltiamo storie altrui tesse una trama che esprime la nostra speciale visione del mondo. Come in un romanzo. Non l’unico né immobile, tuttavia, dal momento che le storie in attesa di essere raccontate, anche a partire dallo stesso materiale, sono infinite. La cosa bella è che il nostro è un romanzo dal finale aperto, un romanzo in fieri che possiamo sempre riscrivere.

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